giovedì 17 novembre 2016

UN MOTIVO COME UN ALTRO



Scena 1
La vecchia al Centro osserva il nulla squallido del giardino pensile del primo piano, una bella distesa di terriccio da riporto ed erba seminata male e cresciuta a chiazze, piante striminzite e una cornice di cemento armato.
L’infermiera sudamericana ha una gran fretta. La vecchia lo intuisce. Ieri gli ha detto che ha una figlia di quattordici anni e che preferisce il turno di notte così di giorno può stare a casa a controllare che vada a scuola piuttosto di appartarsi in camera con qualche maschio da cui si fa levare le mutandine per un passaggio al cinema e un paio di bicchierini il sabato pomeriggio.
L’infermiera ha fretta ma vuole scambiare ancora qualche parola, nonostante quella tristezza tetra e deforme di vecchia le riesce simpatica. Le mette le pillole nel bicchiere e poi si siede sulla seggiola di plastica colorata e le parla. Chiede se oggi ha intenzione di fare due passi con gli altri, c’è il mercato. La vecchia scuote la testa, l’infermiera le fa una carezza. Le dita ossute della vecchia scivolano nel bicchiere e prendono ad una ad una le pillole. Quella azzurra, quella bianca, ad una ad una si affidano alla lingua secca e impastata.
L’infermiera dice che è arrivato il momento del cambio turno. Le dà appuntamento a domani, corre verso lo spogliatoio con il bicchierino di plastica tra le mani.
In tutto un minuto e quarantacinque secondi.

Scena 2
Il parco giochi è immerso nella luce del pomeriggio. La primavera sta facendo il suo e le ossa cominciano a reagire come si deve.
L’uomo con il cappello non ama quel tipo di cambio di stagione, tra non molto dovrà abbandonare gli abiti invernali, in cui si trova fin troppo bene, per indossare quei ridicoli vestiti estivi che sembrano inventati per toglierti la dignità.
Guarda mamma, quel signore con il cappello giallo, hai visto che braccia secche che ha? Hai visto che pelle bianca che ha.
Tanto varrebbe andare in giro con un cartello con la scritta: lezione di anatomia numero 1 “la decomposizione della carne umana”.
L’uomo con il cappello si ricorda gli anni in cui quel parco non era un dedalo di giochi nuovissimi e di bimbi urlanti, una volta era solo un grosso fazzoletto di erba che divideva la fermata dell’autobus dall’ingresso della metalmeccanica.
Almeno la metalmeccanica era morta prima che potesse vedere che cosa era diventato il suo parco.
Non amava i bambini, se li avesse amati avrebbe avuto a disposizione non meno di 4 nipoti da portare in giro e da soddisfare con caramelle e altre amenità. Il figlio più grande era una specie di cecchino dell’utero, aveva ingravidato la moglie una volta ogni anno e mezzo per sei anni di fila, se lo Stato fosse stato meno egoista avrebbe dovuto sterilizzarlo al secondo pargolo. Ma nulla, meglio puntare sulla famiglia numerosa. Che cazzo ci faremo mai con tutti questi bambini? Sono ingiusto, pensò mentre osservava i gruppi di bimbi e di mamme sorveglianti che si appollaiavano apprensive nelle panchine intorno.
Apri il giornale: Liberal, in prima pagina i musulmani “sono una minaccia”, terza pagina “gli zingari” sono un pericolo, poi il governo “è la causa dei musulmani e degli zingari” e non pensavano ai vecchi come lui che soffrono e non arrivano alle fine del mese. Ci mancava anche il governo a dovere pensare a lui, quanti occhi doveva avere addosso?
Scena 3
Stesso parco stesso vecchio, stesso giornale che ora parla della sua Milano, non è evidente a tutti che ormai il degrado supera ogni limite? Non è evidente che comandano i centri sociali? Non è evidente che una povera donna non si sente più sicura nemmeno a uscire di casa?
L’uomo col cappello guarda il parco immerso nel sole di fine aprile e si risponde: no, non dovrebbe avere paura, non c’è nulla di evidente.
La ragazza con la faccia da angelo arriva quasi all’improvviso, gli si accosta da sinistra, ha appena lasciato il suo pargolo con altri bambini nelle mani di quella che di sicuro è l’amica del cuore.
“Salve, anche oggi qui” dice cordiale al vecchio che abbassa istintivamente il giornale e sorride con fare bonario.
“Salve”
“Continua a dire che i bambini non fanno per lei ma poi viene sempre al parco”
“I bambini non fanno per me ma l’aria aperta fa un gran bene alle ossa, non mi piace restare in casa di pomeriggio”
“Fa bene, sa, mio padre invece da quando è in pensione si è attaccato al divano”
L’uomo annuisce, con un gesto cortese fa cenno di sedersi, ama le conversazioni casuali, ama anche le donne, o meglio, le ha amate molti anni prima.
“Perché non ci porta mai i suoi nipotini qui? Sono sicura che a loro piacerebbe”
Lui sorride senza dare una risposta, lei capisce di avere sconfinato.
“Ieri parlavo di lei a mio marito, mi ha detto che noi mamme dobbiamo avere cura anche di lei, che in questo periodo un ve… un anziano… da solo è in pericolo tanto quanto un bambino”
Altro sorriso: “E allora che venga suo marito a difendermi, anzi a difendere tutti noi” faccia spaventata
Lei ride, poi guarda le punte delle scarpe: “Lui lavora, non avrebbe tempo” poi si riprende: “ma non voglio che pensi male, vuole un bene dell’anima a noi due, se potesse, con dei ritmi più umani, sarebbe molto più presente”
“Immagino, senza meno”
“E’ questa città, tutto questo caos, mio marito dice che sembra che Milano si porti sulle spalle tutta l’Italia: gli altri alla moviola e noi a correre”
“Io amo Milano, e non ho mai corso in vita mia, anzi” sorride alla giovane mamma
“Lui vuole un altro figlio” dice lei piano: “Io non so se me la sento, ma lui dice che almeno ne facciamo due vicini che crescono assieme” guarda il bambino che gioca con gli altri, sembra divertirsi tanto, ha appena spinto un altro bambino a faccia in giù sul selciato, lui ride, l’altro bambino piange disperato, la giovane mamma con la faccia angelica scatta in piedi e urla il nome del figlio poi corre verso di lui e lo rimprovera, lo minaccia che alla prossima si va a casa. L’uomo sa che è una bugia, non saranno le marachelle del bambino a farli filare a casa tra poco.
Torna da lui: “A volte sembra fuori controllo, scatta così e fa queste cose. Forse sono io, non sono abbastanza severa” La vena del collo pulsa, sta cercando di mantenere la calma: “Ma se poi non sono io? Se poi viene fuori che ha un disordine della personalità? L’altro giorno al nido è venuta una psicologa a parlare, sembra che le facciano venire per farci paura, ha detto che i disordini di personalità hanno un esordio sempre più precoce e che è facile confonderli con tratti peculiari del carattere, magari io penso che è solo vivace e lui poi ha un problema e io non sono stata capace di vederlo”
L’uomo ascolta e annuisce, come deve fare un vecchio al parco, una specie di cassonetto della spazzatura dell’anima. Si parla tanto di raccolta differenziata, lui è il cassonetto dell’umido, raccoglie tutte le certezze in decomposizione, le angosce maturate sulla mensola della cucina e che ormai non sono più buone, le paure lasciate nel contenitore per alimenti nel frigorifero che hanno generato nugoli di batteri e muffe…
La ragazza con la faccia da angelo si protende con il busto in avanti, dalla scollatura della camicia si vede fin troppo bene il generoso seno, lei si accorge ma richiude il bottone con lentezza: “Una volta avrei chiesto scusa, ma dopo che per mesi tutti mi hanno guardato le tette senza pudore mentre allattavo ci ho perso l’abitudine, alla fine sono solo ghiandole mammarie” sorride.
“Verrà qui anche domani?”
“Credo di no, mercoledì e venerdì vado a fare visita ai miei amici” la ragazza capisce di che parla anche per via di quello sguardo rassegnato… invecchierà anche lei, e perderà anche la sua bellezza angelica, non sarà più nulla, pensa, anche lei farà il giro dei cimiteri, per trovare i vecchi amici e aspetterà di essere dall’altra parte della lapide.
“Allora ne prendo per oggi e per domani, anche per la mia amica” dice senza guardarlo
Estrae dalla tasca dei pantaloni due banconote da 50. E le mette nelle pagine del giornale chiuso che divide lei dall’uomo con le sue montagne di odio e rabbia su carta stampata.
L’uomo estrae un piccolo porta caramelle in metallo dalla tasca. La ragazza lo prende e lo apre.
“Nicolas, vieni Nicolas, guarda cosa ti regala il signore, dì grazie”
Il bambino arriva trotterellando al richiamo delle caramelle.
“Una sola però” dice l’uomo col cappello: “poi il resto lo tiene la mamma” il bambino annuisce e prende una caramella gommosa dal mucchio lasciando nella scatola le quattro pastiglie di Seroxan e le due di Prozac, per l’amica che intanto si prende amorevole cura dei pargoli al parco giochi.
La ragazza con il volto da angelo fa cenno alla brunetta bruttina e sovrappeso che anche per oggi ci sono e che possono cominciare a levare le tende da quel paradiso di metallo e plastica color prato inglese.
Ora le due hanno un motivo per alzarsi domani mattina.

Scena 4
L’infermiera sudamericana è contenta di quel signore con il cappello che viene sempre a trovare la sua paziente speciale. Tutti i mercoledì e venerdì fa tappa fissa alla casa di riposo.
Non ci mette tanto tempo, solo un quarto d’ora poi riprende il cappello e il cappotto e saluta, poco tempo che però fa molto bene alla sua paziente che in quei giorni è molto più contenta e affabile.
Quel giorno l’infermiera si accorge di un particolare non insolito e lo rincorre.
Lo raggiunge prima che l’ascensore si apra al piano e gli permetta la fuga: “Signore, signore” lui si gira distratto e osserva la scatoletta di caramelle tra le mani dell’infermiera.
“Anche lei non ci si metta per favore, la signora ha il diabete, ho visto che apriva la scatolina prima, una caramella va bene, ma non faccia il cattivo non pensi che non mi accorgo che gliele lascia lì di proposito”
Il vecchio col cappello fa la faccia contrita: “Chiedo scusa signora, non capiterà più”
Nell’ascensore apre il suo astuccio di caramelle, la sua amica ha fatto il suo dovere, nel week end manderà qualcuno a portarle i soldi. Tocca appena le pillole con la punta delle dita e ringrazia il cielo che la lingua dei vecchi sia così secca.

      

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