La verità era che odiava il suo lavoro. Soprattutto la
mattina alle otto.
“Ti hanno fatto un brutto scherzo e tu, cretina, gli ha
permesso di fartelo” si diceva mentre sistemava il collant nero che si era
girato sul polpaccio; nell’abbassarsi aveva anche picchiato la fronte sul
volante della macchina. Vaffanculo, vaffanculo, vaffanculo.
Uscì nel parcheggio interno del prefabbricato giallo piscio
con l’insegna Poste Italiane. Non riuscì a trattenere una smorfia di disgusto.
La chiamavano promozione. Aveva dato il sangue dietro alla
scrivania di merda del cubicolo di merda dell’ufficio postale di Varese centro
di merda con la scritta Consulente
Fnanziario perché la “I” si era staccata da un pezzo, a vendere pacchetti
di obbligazioni che non avrebbe consigliato manco al suo cane se ne avesse
avuto uno, per essere promossa a direttore della posta di un paesino di tremila
anime dove la posta sembrava essere la succursale della parrocchia e dove,
certamente, la sua carriera si era irrimediabilmente fottuta.
La settimana prima era pure stata convocata dal supervisore
che le aveva detto senza mezzi termini che il suo atteggiamento infastidiva il
personale (due stronze cinquantenni e un coglione, mezzo handicappato, con la
velocità di un carro a rimorchio sul Monte Bianco) e doveva essere più
disponibile con i clienti.
Clienti. In effetti avrebbe dovuto mordersi la lingua più
spesso. Non doveva chiamarli i vecchiacci davanti alle stronze delle colleghe.
Erano evidentemente invidiose di lei. Gli avrebbero fatto pagare qualunque
mossa falsa.
Dopo il richiamo aveva preso una decisione definitiva:
avrebbe fatto sputare il sangue a quelle troie cotonate. Muoia Sansone con
tutti i Filistei.
Mise la chiave nella toppa della porta posteriore. Non era
lei quella deputata ad aprire l’ufficio al pubblico. Aveva fatto cambiare
l’orario di apertura alle 8:30 per godersi almeno mezz’ora di pace e
soprattutto per allontanare l’apertura degli sportelli dalla fine della messa
delle 7:30. Le vecchie più rognose erano quelle che uscivano dalla parrocchia
dopo aver masticato per bene Gesù Cristo e cominciavano a masticare l’anima a
lei con le loro pensioni e coi loro libretti di risparmio con dentro il minimo
indispensabile per fare un funerale decente.
La chiave non entrò, spinse con maggior decisione ma nulla
da fare. Si abbasso per guardare dove fosse l’intoppo e vide che dentro alla
toppa era rimasto un grosso pezzo di metallo. La chiave di sicurezza di qualcun
altro. Uno dei suoi “impiegati modello” aveva scassato la chiave dentro alla
toppa e non aveva detto un cazzo. Prima buona notizia della giornata, appena
fosse entrata nel suo ufficio avrebbe scritto il richiamo disciplinare, poi,
all’arrivo dei tre stronzi si sarebbe fatta consegnare le chiavi e avrebbe
inserito il nome del colpevole nell’apposito spazio lascito in bianco… vediamo se
mi trovate più cordiale adesso.
Uscì dal parcheggio e fece il giro dello stabile pregustando
le sue dita decorate dalle sue stupende unghie laccate che scrivevano il primo di
una lunga serie di disciplinari. Meglio di una scopata.
Le due figure intabarrate che stazionavano davanti alla
porta principale afferrarono con violenza tanto buon umore e lo trascinarono
nel cesso in un istante. Un uomo e una donna, età stimata tredicimila anni. Lei
con indosso un cappotto grigio topo di fogna che non doveva avere lavato per
tutto l’inverno e lui con un giaccone chiaro acquistato chiaramente al
mercatino dell’usato. Sentì la puzza di vecchiaia già a dieci metri.
Quel misto di detersivo a basso costo e appendiabiti troppo
vicino al fornello della cucina.
La vecchia era una maschera di rughe profonde e sorrideva
nella sua dentiera della mutua, lui era tutto impettito in quel fare un po’ militaresco
dei dinosauri che “Io son stato partigiano, sa?”
Se ti avessero impallinato i tedeschi non saresti qui a
rovinare la vita a me.
La vecchia sorrideva e non smise nemmeno quando lei si
dipinse in faccia il suo mitico sguardo severo da direttore incorruttibile,
provato e riprovato allo specchietto di cortesia della macchina
“Signora Annamaria, scusi se arriviamo presto” disse la
vecchia avvicinandosi ben oltre la linea di sicurezza che aveva deciso di
istituire tra lei e tutto quello che aveva passato i settant’anni.
Quel maledetto vizio di chiamarla per nome. Ma chi ti
conosce? Chi ti ha mai visto? Se fosse stata viva non avrebbe permesso nemmeno
a sua madre di trattarla con tanta bonaria vicinanza affettiva.
“La posta apre alle 8:30 signora, lo sapete bene, sono sei
mesi che lo diciamo”
Sul viso della vecchia il sorriso si spense e comparve
quell’espressione pietosa di chi è stato preso in fallo ma ha già la scusa
pronta.
“Si lo so, ma vede, il signor Giovanni qui… noi siamo usciti
da Messa e lui deve proprio ritirare la pensione, lo sa dove abita lui… allora
gli ho detto, non stia a fare avanti e indietro che poi con questo freddo… se
fosse così cortese”
Aveva capito dove volevano andare a parare. Volevano entrare
prima degli altri con la scusa del freddo e poi, una volta dentro, ritirare la
pensione appena uno degli impiegati fosse arrivato.
Il vecchio scosse la testa e bofonchiò qualcosa di
incomprensibile alle sue orecchie distratte ma che evidentemente era un codice
che l’altra carampana comprendeva benissimo: “Ma via signor Giovanni, non dica
queste cose… per piacere signora Annamaria, nemmeno lo chiederei per me, che
qui vicino abita la signora Mariolina e io andrei da lei e poi verremo insieme,
ma il signor Giovanni ha fatto la polmonite proprio il mese scorso, se mi
prende freddo lo sa il Signore cosa gli succede poi, la sua figlia chi la sente
più? poi magari mi danno la colpa a me”
Campanello d’allarme. La vecchia ricattatrice. Se la mummia
catarrosa che si portava appresso fosse tornata a casa con la febbre e avesse
detto che aveva aspettato davanti all’ufficio postale per mezz’ora senza che la
direttrice avesse mostrato un minimo di pietà per lui, l’indomani sarebbe stata
riconvocata dal supervisore e giù altre rogne sulla sua disponibilità.
“Va bene, entrate… ma state in silenzio e aspettate che
arrivino i colleghi, guai a voi se dite in giro che vi ho fatto entrare”
La vecchia si ricostruì il sorriso sulla faccia e si
prosternò in una lunga fila di ringraziamenti.
Mentre apriva la porta e scostava la grata di sicurezza la
direttrice si soffermò a osservare con orrore le gambe della vecchia inguantate
in brutti collant rosa carne evidentemente troppo grandi di una misura e sulle
tremende scarpe di pelle quasi maschili. Una vocina nella testa gli ricordava
che tra meno di un mese avrebbe dovuto invitare quei pochi amici che fingeva di
sopportare per soffiare sulla torta tutte e trentaquattro le candeline che
qualche mano satanica le avrebbe disposto davanti agli occhi. Le venne voglia
di prendere la macchina, quella sera subito dopo il lavoro e di lanciarsi a
Milano per caricarsi un ragazzetto qualunque in un locale e farsi sbattere fino
al giorno dopo.
Se i vecchi ti mettono tutta questa tristezza che ci fai
ancora qui? Si domandò mentre faceva accomodare i due ospiti sgraditi
all’interno dell’ufficio.
Senza un minimo di esitazione rimise il fermo alla porta.
Mica mi potranno accusare di sequestro di persona. E poi meglio quello che
un’invasione di cavallette ottuagenarie mentre sono qui da sola.
“Sa signora Annamaria” disse la vecchia che pareva non aver
ancora perso le speranze di riuscire a fare un po’ di conversazione amichevole:
“Il mio nipote, l’Alfredo, il figlio di mio figlio Mauro, lui mi viene sempre a
trovare il giorno che prendo la pensione, lo porta la sua mamma. E lo sa
perché?”
“Me lo immagino… ma ora ho molto da fare” taglio corto la
direttrice
“Lo so, lo so, le rubo solo un momento, così magari la
faccio ridere un po’”
“Ne dubito signora, sono davvero molto occupata, sono certa
che il signor Giuseppe la vorrà ascoltare”
“Ma quello lì ormai non ci sente più da un orecchio, e poi
non mi piace tanto, sa che mi fa la corte da un bel po’? Prima mica veniva in
chiesa, adesso è lì tutti i giorni,… mica per il padre eterno, lo fa per me”
Ora le tiro una testata, pensò mentre frugava in borsa alla
ricerca delle chiavi della porte di sicurezza che divideva l’inferno della sala
clienti dal paradiso del suo ufficio silenzioso: “Comunque il mio nipote viene
sempre quando prendo la pensione perché sa che io gli do un bel dieci euro, che
per me è la spesa di un giorno, sa?”
Chiavi trovate, tra un secondo ci sarò solo io il PC e un
richiamo disciplinare in bianco.
“Però l’altro mese mi ha detto: sai nonna che ho cominciato
a suonare la chitarra? Mi regali una chitarra per il mio compleanno?”
Perfetto, ora si era avvicinato pure l’altro vecchio che
tendeva l’orecchio buono per sentire la conversazione.
“Io gli ho detto: amore cosa costa la chitarra? E lui, nonna,
cinquecento euro”
CLIK… porta aperta, salvezza.
La vecchia era ormai un fiume di parole sulle prodezze del
nipotino e il vecchio sembrava un’ombra, allargò ancora il sorriso e disse: “Ha
capito, cinquecento euro, quello che prendo io di pensione” rise forte e le
scappo un colpo di tosse.
La situazione stava diventando insostenibile, tra un secondo
si sarebbe messa a urlare e vaffanculo il supervisore e i richiami. La cosa
peggiore era che, per ascoltare la storia l’altro vecchio si era messo tra lei
e la porta blindata impedendole sia di entrare sia di chiudere.
“Sa cosa gli ho detto allora al mio nipote?”
“Casa?” fece lei esasperata. Tanto valeva farla finita e
dare retta per due minuti alla signora sperando che nel frattempo morisse.
“Gli ho detto: ma la nonna mica ruba i soldi per vivere… ha
capito?”
Annamaria annuì con un sorriso forzato mentre la vecchia
continuava a ridere.
Quando la risata finì la signora mise con gentilezza una
mano sul braccio della direttrice, ora mi ringrazia e si leva dalle palle,
pensò lei con un senso di soddisfazione che le sgorgava dal petto.
“Allora mi è venuto
in mente di parlare con il signor Giovanni qui, che lui invece di mestiere
faceva proprio il rapinatore. È stato anche a San Vittore, sa? Lo racconta
sempre al centro anziani, e gli ho detto, signor Giovanni, un colpo ad un
ufficio postale in provincia quanti soldi ci fa guadagnare?”
Per la prima volta la direttrice capì cosa avesse detto il
vecchio vicino a lei: “Se è giorno di pensioni anche cinquantamila euro, ho
detto io”
Tutto il sollievo scomparve dal petto della più giovane del
terzetto quando vide che la vecchia, sempre sorridendo aveva estratto una
piccola pistola dalla borsetta: “Sa; Io non so sparare ma il signor Giovanni mi
ha detto che con questa qui non c’è quasi… come si dice signor Giovanni, mi
aiuta?”
“Rinculo”
“Che brutta parola, non c’è quasi rinculo e che da vicino se
le sparo nel petto magari lei non muore ma le collassa un polmone di sicuro…
mio marito, pover’uomo gli è collassato il polmone, non è morto subito ma non
le posso dire che pena”
La direttrice non aveva più parole, la bocca era secca.
I due vecchi fecero segno di entrare e le dissero di aprire
cassaforte e tutte le casse.
“Signori, cercate di capire, non potete andare da nessuna
parte, abitate qui, vi trovano di sicuro”
“Ma noi non abitiamo qui, sono due mesi che veniamo tutte le
mattine con la corriera e che poi torniamo a casa in tempo per vedere la vita
in diretta… le piace la Barbara d’Urso?”
“Ma io…” aveva dato per scontato che tutto quello che la
vecchia aveva raccontato fosse vero, il signor Giovanni che abitava lontano, la
signora Mariolina. Tutti quei piccoli particolari inutili che rendono così
monotona e nel contempo così credibile la vita di un vecchio in un piccolo
paese.
La vecchia scosse la mano con la pistola: “Fa niente, fa
niente, se non le dispiace abbiamo fretta… se si può sbrigare un po’ che poi
abbiamo il signor Piero che passa a prenderci con la macchina”
“Ma vede lei non capisce io non posso aprire la cassaforte
così”
A questo punto fu il signor Giovanni che intervenne: “Vede
cara la mia dottoressa, sono due mesi che passo di qui e la vedo che tratta
male la gente, lei non mi ha mai visto. La cassaforte che avete di là non è
temporizzata, lo Stato non ha soldi per un ufficio postale come questo, avete
giusto una vecchia cassa a chiusura di quelle che negli anni sessanta le
facevamo saltare col tritolo, apra” e nel dire questo fece una cosa che la
donna non si sarebbe mai aspettata, estrasse dalla giacca un corto fucile a
canne mozze e glielo piantò in piena faccia: “Se sparo le rovino il trucco, e a
me, di rovinare il trucco alle signore non me ne è mai fregato niente”
La direttrice non si fece ripetere nulla ed estrasse la
chiave della cassaforte con il fiato ormai ridotto al minimo.
“Il signor Giovanni non si sa comportare, ecco perché gli
dico sempre che non accetto la sua corte” commentò la vecchia: “Ma lo sa che
quando era giovane tenne in ostaggio un’impiegata di banca per sei giorni in
una capanna vicino a Rho? Quando lui le disse che poteva andare via lei non
voleva più andarsene gli diceva che voleva sposarlo” altra risata asmatica:
“Metta i soldi più grossi qui nella mia borsa” La direttrice prese le mazzette
filmate da 500 e da 200 e le mise con cura nella grossa borsa della spesa con
le ruote che la vecchia si trascinava dietro da quando l’aveva vista
all’ingresso e che lei aveva notato distrattamente come tutti i segni
distintivi che contraddistinguono i vecchi.
Quando la borsa fu piena la vecchia fece cenno che poteva
bastare.
“Si sieda” disse il signor Giovanni afferrando una sedia da
dietro al bancone e trascinandola in un luogo lontano dalla vista immediata
degli impiegati.
Afferrarono un rotolo di scotch con la dicitura poste
italiane stampigliata sopra e lo esaurirono nel legarle gambe e braccia alla
seduta
Finita l’opera di impacchettamento la vecchia si girò verso
le casse e afferrò con ordine alcuni biglietti da dieci euro, li appallottolò
con cura e fece segno alla prigioniera di aprire la bocca.
La direttrice senti il sapore di carta sporca arrivarle fino
in gola e cerco di respirare con il naso per sopprimere il conato di vomito che
le sgorgava dallo stomaco. Un ultimo giro di nastro isolante le serrò la bocca.
Ad operazione terminata i due se ne andarono ringraziando
della collaborazione la donna ridotta ormai ad una maschera di mascara sciolto
dalle lacrime di rabbia e paura.
…
I soccorsi vennero chiamati dagli impiegati quando ormai dei
due rapinatori non c’era più alcuna traccia, i giornalisti arrivarono
praticamente coi carabinieri, era comprensibile, c’era troppo poco spazio per
diventare famosi in un piccolo paesino di provincia, figurati se non se ne
approfitta quando ti capita una bella rapina d’altri tempi.
Solo in un secondo momento, quando un’impiegata raccolse la
pallina di carta moneta che era stata infilata nella bocca della sconvolta
direttrice si accorse che tra i fogli da dieci euro era restato intrappolato un
foglietto di carta bianca.
Sebbene rovinato dalla saliva e dalle lacrime, il messaggio
che esso conteneva restò chiaro a tutti.
Questa è la nostra
prima azione, siamo tanti, siamo arrabbiati, siamo anziani… abbiate paura di
noi.
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