giovedì 17 novembre 2016

UN MOTIVO COME UN ALTRO



Scena 1
La vecchia al Centro osserva il nulla squallido del giardino pensile del primo piano, una bella distesa di terriccio da riporto ed erba seminata male e cresciuta a chiazze, piante striminzite e una cornice di cemento armato.
L’infermiera sudamericana ha una gran fretta. La vecchia lo intuisce. Ieri gli ha detto che ha una figlia di quattordici anni e che preferisce il turno di notte così di giorno può stare a casa a controllare che vada a scuola piuttosto di appartarsi in camera con qualche maschio da cui si fa levare le mutandine per un passaggio al cinema e un paio di bicchierini il sabato pomeriggio.
L’infermiera ha fretta ma vuole scambiare ancora qualche parola, nonostante quella tristezza tetra e deforme di vecchia le riesce simpatica. Le mette le pillole nel bicchiere e poi si siede sulla seggiola di plastica colorata e le parla. Chiede se oggi ha intenzione di fare due passi con gli altri, c’è il mercato. La vecchia scuote la testa, l’infermiera le fa una carezza. Le dita ossute della vecchia scivolano nel bicchiere e prendono ad una ad una le pillole. Quella azzurra, quella bianca, ad una ad una si affidano alla lingua secca e impastata.
L’infermiera dice che è arrivato il momento del cambio turno. Le dà appuntamento a domani, corre verso lo spogliatoio con il bicchierino di plastica tra le mani.
In tutto un minuto e quarantacinque secondi.

Scena 2
Il parco giochi è immerso nella luce del pomeriggio. La primavera sta facendo il suo e le ossa cominciano a reagire come si deve.
L’uomo con il cappello non ama quel tipo di cambio di stagione, tra non molto dovrà abbandonare gli abiti invernali, in cui si trova fin troppo bene, per indossare quei ridicoli vestiti estivi che sembrano inventati per toglierti la dignità.
Guarda mamma, quel signore con il cappello giallo, hai visto che braccia secche che ha? Hai visto che pelle bianca che ha.
Tanto varrebbe andare in giro con un cartello con la scritta: lezione di anatomia numero 1 “la decomposizione della carne umana”.
L’uomo con il cappello si ricorda gli anni in cui quel parco non era un dedalo di giochi nuovissimi e di bimbi urlanti, una volta era solo un grosso fazzoletto di erba che divideva la fermata dell’autobus dall’ingresso della metalmeccanica.
Almeno la metalmeccanica era morta prima che potesse vedere che cosa era diventato il suo parco.
Non amava i bambini, se li avesse amati avrebbe avuto a disposizione non meno di 4 nipoti da portare in giro e da soddisfare con caramelle e altre amenità. Il figlio più grande era una specie di cecchino dell’utero, aveva ingravidato la moglie una volta ogni anno e mezzo per sei anni di fila, se lo Stato fosse stato meno egoista avrebbe dovuto sterilizzarlo al secondo pargolo. Ma nulla, meglio puntare sulla famiglia numerosa. Che cazzo ci faremo mai con tutti questi bambini? Sono ingiusto, pensò mentre osservava i gruppi di bimbi e di mamme sorveglianti che si appollaiavano apprensive nelle panchine intorno.
Apri il giornale: Liberal, in prima pagina i musulmani “sono una minaccia”, terza pagina “gli zingari” sono un pericolo, poi il governo “è la causa dei musulmani e degli zingari” e non pensavano ai vecchi come lui che soffrono e non arrivano alle fine del mese. Ci mancava anche il governo a dovere pensare a lui, quanti occhi doveva avere addosso?
Scena 3
Stesso parco stesso vecchio, stesso giornale che ora parla della sua Milano, non è evidente a tutti che ormai il degrado supera ogni limite? Non è evidente che comandano i centri sociali? Non è evidente che una povera donna non si sente più sicura nemmeno a uscire di casa?
L’uomo col cappello guarda il parco immerso nel sole di fine aprile e si risponde: no, non dovrebbe avere paura, non c’è nulla di evidente.
La ragazza con la faccia da angelo arriva quasi all’improvviso, gli si accosta da sinistra, ha appena lasciato il suo pargolo con altri bambini nelle mani di quella che di sicuro è l’amica del cuore.
“Salve, anche oggi qui” dice cordiale al vecchio che abbassa istintivamente il giornale e sorride con fare bonario.
“Salve”
“Continua a dire che i bambini non fanno per lei ma poi viene sempre al parco”
“I bambini non fanno per me ma l’aria aperta fa un gran bene alle ossa, non mi piace restare in casa di pomeriggio”
“Fa bene, sa, mio padre invece da quando è in pensione si è attaccato al divano”
L’uomo annuisce, con un gesto cortese fa cenno di sedersi, ama le conversazioni casuali, ama anche le donne, o meglio, le ha amate molti anni prima.
“Perché non ci porta mai i suoi nipotini qui? Sono sicura che a loro piacerebbe”
Lui sorride senza dare una risposta, lei capisce di avere sconfinato.
“Ieri parlavo di lei a mio marito, mi ha detto che noi mamme dobbiamo avere cura anche di lei, che in questo periodo un ve… un anziano… da solo è in pericolo tanto quanto un bambino”
Altro sorriso: “E allora che venga suo marito a difendermi, anzi a difendere tutti noi” faccia spaventata
Lei ride, poi guarda le punte delle scarpe: “Lui lavora, non avrebbe tempo” poi si riprende: “ma non voglio che pensi male, vuole un bene dell’anima a noi due, se potesse, con dei ritmi più umani, sarebbe molto più presente”
“Immagino, senza meno”
“E’ questa città, tutto questo caos, mio marito dice che sembra che Milano si porti sulle spalle tutta l’Italia: gli altri alla moviola e noi a correre”
“Io amo Milano, e non ho mai corso in vita mia, anzi” sorride alla giovane mamma
“Lui vuole un altro figlio” dice lei piano: “Io non so se me la sento, ma lui dice che almeno ne facciamo due vicini che crescono assieme” guarda il bambino che gioca con gli altri, sembra divertirsi tanto, ha appena spinto un altro bambino a faccia in giù sul selciato, lui ride, l’altro bambino piange disperato, la giovane mamma con la faccia angelica scatta in piedi e urla il nome del figlio poi corre verso di lui e lo rimprovera, lo minaccia che alla prossima si va a casa. L’uomo sa che è una bugia, non saranno le marachelle del bambino a farli filare a casa tra poco.
Torna da lui: “A volte sembra fuori controllo, scatta così e fa queste cose. Forse sono io, non sono abbastanza severa” La vena del collo pulsa, sta cercando di mantenere la calma: “Ma se poi non sono io? Se poi viene fuori che ha un disordine della personalità? L’altro giorno al nido è venuta una psicologa a parlare, sembra che le facciano venire per farci paura, ha detto che i disordini di personalità hanno un esordio sempre più precoce e che è facile confonderli con tratti peculiari del carattere, magari io penso che è solo vivace e lui poi ha un problema e io non sono stata capace di vederlo”
L’uomo ascolta e annuisce, come deve fare un vecchio al parco, una specie di cassonetto della spazzatura dell’anima. Si parla tanto di raccolta differenziata, lui è il cassonetto dell’umido, raccoglie tutte le certezze in decomposizione, le angosce maturate sulla mensola della cucina e che ormai non sono più buone, le paure lasciate nel contenitore per alimenti nel frigorifero che hanno generato nugoli di batteri e muffe…
La ragazza con la faccia da angelo si protende con il busto in avanti, dalla scollatura della camicia si vede fin troppo bene il generoso seno, lei si accorge ma richiude il bottone con lentezza: “Una volta avrei chiesto scusa, ma dopo che per mesi tutti mi hanno guardato le tette senza pudore mentre allattavo ci ho perso l’abitudine, alla fine sono solo ghiandole mammarie” sorride.
“Verrà qui anche domani?”
“Credo di no, mercoledì e venerdì vado a fare visita ai miei amici” la ragazza capisce di che parla anche per via di quello sguardo rassegnato… invecchierà anche lei, e perderà anche la sua bellezza angelica, non sarà più nulla, pensa, anche lei farà il giro dei cimiteri, per trovare i vecchi amici e aspetterà di essere dall’altra parte della lapide.
“Allora ne prendo per oggi e per domani, anche per la mia amica” dice senza guardarlo
Estrae dalla tasca dei pantaloni due banconote da 50. E le mette nelle pagine del giornale chiuso che divide lei dall’uomo con le sue montagne di odio e rabbia su carta stampata.
L’uomo estrae un piccolo porta caramelle in metallo dalla tasca. La ragazza lo prende e lo apre.
“Nicolas, vieni Nicolas, guarda cosa ti regala il signore, dì grazie”
Il bambino arriva trotterellando al richiamo delle caramelle.
“Una sola però” dice l’uomo col cappello: “poi il resto lo tiene la mamma” il bambino annuisce e prende una caramella gommosa dal mucchio lasciando nella scatola le quattro pastiglie di Seroxan e le due di Prozac, per l’amica che intanto si prende amorevole cura dei pargoli al parco giochi.
La ragazza con il volto da angelo fa cenno alla brunetta bruttina e sovrappeso che anche per oggi ci sono e che possono cominciare a levare le tende da quel paradiso di metallo e plastica color prato inglese.
Ora le due hanno un motivo per alzarsi domani mattina.

Scena 4
L’infermiera sudamericana è contenta di quel signore con il cappello che viene sempre a trovare la sua paziente speciale. Tutti i mercoledì e venerdì fa tappa fissa alla casa di riposo.
Non ci mette tanto tempo, solo un quarto d’ora poi riprende il cappello e il cappotto e saluta, poco tempo che però fa molto bene alla sua paziente che in quei giorni è molto più contenta e affabile.
Quel giorno l’infermiera si accorge di un particolare non insolito e lo rincorre.
Lo raggiunge prima che l’ascensore si apra al piano e gli permetta la fuga: “Signore, signore” lui si gira distratto e osserva la scatoletta di caramelle tra le mani dell’infermiera.
“Anche lei non ci si metta per favore, la signora ha il diabete, ho visto che apriva la scatolina prima, una caramella va bene, ma non faccia il cattivo non pensi che non mi accorgo che gliele lascia lì di proposito”
Il vecchio col cappello fa la faccia contrita: “Chiedo scusa signora, non capiterà più”
Nell’ascensore apre il suo astuccio di caramelle, la sua amica ha fatto il suo dovere, nel week end manderà qualcuno a portarle i soldi. Tocca appena le pillole con la punta delle dita e ringrazia il cielo che la lingua dei vecchi sia così secca.

      

mercoledì 16 novembre 2016

UN DISCRETO SCRUTARE





Lo osservava da tanto tempo.
Era cominciata per gioco, almeno così le sembrava di ricordare. Non sono certo quelle cose che uno pianifica.
Un po’ come quando cammini per la strada e sei travolto da un’auto. Poi magari si dice la solita frase: “Un po’ me lo sentivo”, ma si sa che non è vero.
Aveva cominciato ad osservarlo, all’inizio quasi stupita. Niente di eccezionale, niente di notevole. Solo un vecchio che passava le sue giornate nell’appartamento dirimpetto al suo. Al quarto piano di una palazzina anonima, di una strada anonima.
Non si era mai nemmeno preoccupata di attraversare la strada per andare a sbirciare i citofoni e capire come si chiamasse. La sua immaginazione aveva supplito alla mancanza di un nome. Ogni mattina, quando cominciava la sua osservazione lo poteva chiamare in modo diverso. “Buongiorno signor Mambretti”
Oggi si chiamava Mambretti, Ovidio Mambretti.

All’inizio le sedute d’appostamento erano piuttosto brevi, addirittura casuali. Non voleva ammettere con se stessa che stava nascendo in lei una specie di ossessione per quel vecchio gracile con la pelle giallastra e l’appetito di un uccellino che aveva nidificato davanti a casa sua.
Col passare del tempo però le cose erano cambiate: aveva dato un metodo alle sue osservazioni. Si posizionava alla finestra della camera da letto, quella che dava la miglior visuale, sin dalle prime ore della mattina. Se all’inizio lo osservava per non più di mezz’ora al giorno, col passare del tempo era arrivata a seguirne le mosse per quattro o cinque ore, nel week end anche per sei.
Non aveva ancora avuto la presunzione di fare delle ipotesi sul motivo della sua ossessione. Aveva organizzato la sua vita intorno a suo vecchio signore. Osservare, lavorare, tornare ad osservare, avere una vita sociale, tornare ad osservare, bere, mangiare, scopare e farsi scopare, tornare ad osservare. Da un po’ si era accorta che la sua occupazione stava prendendo il sopravvento su molte piccole occupazioni secondarie. Osservare il signor “Costantini” non era più una occupazione della giornata, era l’occupazione.
A volte si stupiva semplicemente delle stereotipie del vecchio, osservava un movimento, cercava di prevedere tutti i successivi. Se ci azzeccava si complimentava con se stessa diversamente si perdeva in congetture sui motivi per i quali la serie delle azioni ripetute si era interrotta.
Altre volte, e nell’ultimo periodo accadeva con sempre maggior frequenza, le sue fantasie prendevano il sopravvento. Si immaginava seduta nella sua casa modesta, sentiva l’odore di mobili vecchi e di cibi mal cucinati, pensava di diventare parte del suo mondo, alla stregua di un soprammobile. Una cosa presente ma ignorata. Avrebbe voluto stare nella casa come una presenza nota, avrebbe voluto che lui sapesse di lei, che sentisse del disagio a sapere che qualcosa lo osservava con tanta cura e meticolosa precisione, ma che contemporaneamente fosse invisibile ai suoi occhi, scontata, come una vecchia gondola in plastica dorata buttata sulla mensola di un mobile della sala.
Di notte era anche peggio, quando le finestre erano nere e non c’era nulla da osservare le veniva in mente che il gioco, come tutti i giochi, sarebbe durato poco. Più prima che poi le imposte la mattina non si sarebbero aperte, oppure le luci a notte fonda sarebbero state ancora accese. Lo avrebbero portato via con l’ambulanza, magari sarebbero arrivati dei parenti, dei figli. L’imperturbabile routine dei giorni sempre identici sarebbe finita, non ci sarebbero stati più pronostici, vaticini.
E allora pensava che non era assolutamente giusto che questo accadesse al di fuori del suo controllo, al di fuori delle sue previsioni.
Era solo questione di tempo, sapeva che prima o poi sarebbe suonato un campanello nella sua testa e lo avrebbe fatto. Doveva controllarlo fino alla fine. Fino all’ultimo.
Quando la fecero sedere sul sedile di dietro dell’auto era pienamente soddisfatta.
Lui aveva aperto la porta a quella signora che aveva già visto diverse volte oltre i vetri della casa di fronte. Come previsto l’aveva fatta entrare. Come previsto le aveva voltato le spalle. Come previsto il suo collo si era spezzato come un pezzo di legno secco.
Tutto come previsto. Era davvero diventata molto brava. 
  
dicembre 2015

I VECCHI ALLE POSTE



La verità era che odiava il suo lavoro. Soprattutto la mattina alle otto.
“Ti hanno fatto un brutto scherzo e tu, cretina, gli ha permesso di fartelo” si diceva mentre sistemava il collant nero che si era girato sul polpaccio; nell’abbassarsi aveva anche picchiato la fronte sul volante della macchina. Vaffanculo, vaffanculo, vaffanculo.
Uscì nel parcheggio interno del prefabbricato giallo piscio con l’insegna Poste Italiane. Non riuscì a trattenere una smorfia di disgusto.
La chiamavano promozione. Aveva dato il sangue dietro alla scrivania di merda del cubicolo di merda dell’ufficio postale di Varese centro di merda con la scritta Consulente Fnanziario perché la “I” si era staccata da un pezzo, a vendere pacchetti di obbligazioni che non avrebbe consigliato manco al suo cane se ne avesse avuto uno, per essere promossa a direttore della posta di un paesino di tremila anime dove la posta sembrava essere la succursale della parrocchia e dove, certamente, la sua carriera si era irrimediabilmente fottuta.
La settimana prima era pure stata convocata dal supervisore che le aveva detto senza mezzi termini che il suo atteggiamento infastidiva il personale (due stronze cinquantenni e un coglione, mezzo handicappato, con la velocità di un carro a rimorchio sul Monte Bianco) e doveva essere più disponibile con i clienti.
Clienti. In effetti avrebbe dovuto mordersi la lingua più spesso. Non doveva chiamarli i vecchiacci davanti alle stronze delle colleghe. Erano evidentemente invidiose di lei. Gli avrebbero fatto pagare qualunque mossa falsa.
Dopo il richiamo aveva preso una decisione definitiva: avrebbe fatto sputare il sangue a quelle troie cotonate. Muoia Sansone con tutti i Filistei.
Mise la chiave nella toppa della porta posteriore. Non era lei quella deputata ad aprire l’ufficio al pubblico. Aveva fatto cambiare l’orario di apertura alle 8:30 per godersi almeno mezz’ora di pace e soprattutto per allontanare l’apertura degli sportelli dalla fine della messa delle 7:30. Le vecchie più rognose erano quelle che uscivano dalla parrocchia dopo aver masticato per bene Gesù Cristo e cominciavano a masticare l’anima a lei con le loro pensioni e coi loro libretti di risparmio con dentro il minimo indispensabile per fare un funerale decente.
La chiave non entrò, spinse con maggior decisione ma nulla da fare. Si abbasso per guardare dove fosse l’intoppo e vide che dentro alla toppa era rimasto un grosso pezzo di metallo. La chiave di sicurezza di qualcun altro. Uno dei suoi “impiegati modello” aveva scassato la chiave dentro alla toppa e non aveva detto un cazzo. Prima buona notizia della giornata, appena fosse entrata nel suo ufficio avrebbe scritto il richiamo disciplinare, poi, all’arrivo dei tre stronzi si sarebbe fatta consegnare le chiavi e avrebbe inserito il nome del colpevole nell’apposito spazio lascito in bianco… vediamo se mi trovate più cordiale adesso.
Uscì dal parcheggio e fece il giro dello stabile pregustando le sue dita decorate dalle sue stupende unghie laccate che scrivevano il primo di una lunga serie di disciplinari. Meglio di una scopata.
Le due figure intabarrate che stazionavano davanti alla porta principale afferrarono con violenza tanto buon umore e lo trascinarono nel cesso in un istante. Un uomo e una donna, età stimata tredicimila anni. Lei con indosso un cappotto grigio topo di fogna che non doveva avere lavato per tutto l’inverno e lui con un giaccone chiaro acquistato chiaramente al mercatino dell’usato. Sentì la puzza di vecchiaia già a dieci metri.
Quel misto di detersivo a basso costo e appendiabiti troppo vicino al fornello della cucina.
La vecchia era una maschera di rughe profonde e sorrideva nella sua dentiera della mutua, lui era tutto impettito in quel fare un po’ militaresco dei dinosauri che “Io son stato partigiano, sa?”
Se ti avessero impallinato i tedeschi non saresti qui a rovinare la vita a me.
La vecchia sorrideva e non smise nemmeno quando lei si dipinse in faccia il suo mitico sguardo severo da direttore incorruttibile, provato e riprovato allo specchietto di cortesia della macchina
“Signora Annamaria, scusi se arriviamo presto” disse la vecchia avvicinandosi ben oltre la linea di sicurezza che aveva deciso di istituire tra lei e tutto quello che aveva passato i settant’anni.
Quel maledetto vizio di chiamarla per nome. Ma chi ti conosce? Chi ti ha mai visto? Se fosse stata viva non avrebbe permesso nemmeno a sua madre di trattarla con tanta bonaria vicinanza affettiva.
“La posta apre alle 8:30 signora, lo sapete bene, sono sei mesi che lo diciamo”
Sul viso della vecchia il sorriso si spense e comparve quell’espressione pietosa di chi è stato preso in fallo ma ha già la scusa pronta.
“Si lo so, ma vede, il signor Giovanni qui… noi siamo usciti da Messa e lui deve proprio ritirare la pensione, lo sa dove abita lui… allora gli ho detto, non stia a fare avanti e indietro che poi con questo freddo… se fosse così cortese”
Aveva capito dove volevano andare a parare. Volevano entrare prima degli altri con la scusa del freddo e poi, una volta dentro, ritirare la pensione appena uno degli impiegati fosse arrivato.
Il vecchio scosse la testa e bofonchiò qualcosa di incomprensibile alle sue orecchie distratte ma che evidentemente era un codice che l’altra carampana comprendeva benissimo: “Ma via signor Giovanni, non dica queste cose… per piacere signora Annamaria, nemmeno lo chiederei per me, che qui vicino abita la signora Mariolina e io andrei da lei e poi verremo insieme, ma il signor Giovanni ha fatto la polmonite proprio il mese scorso, se mi prende freddo lo sa il Signore cosa gli succede poi, la sua figlia chi la sente più? poi magari mi danno la colpa a me”
Campanello d’allarme. La vecchia ricattatrice. Se la mummia catarrosa che si portava appresso fosse tornata a casa con la febbre e avesse detto che aveva aspettato davanti all’ufficio postale per mezz’ora senza che la direttrice avesse mostrato un minimo di pietà per lui, l’indomani sarebbe stata riconvocata dal supervisore e giù altre rogne sulla sua disponibilità.
“Va bene, entrate… ma state in silenzio e aspettate che arrivino i colleghi, guai a voi se dite in giro che vi ho fatto entrare”
La vecchia si ricostruì il sorriso sulla faccia e si prosternò in una lunga fila di ringraziamenti.
Mentre apriva la porta e scostava la grata di sicurezza la direttrice si soffermò a osservare con orrore le gambe della vecchia inguantate in brutti collant rosa carne evidentemente troppo grandi di una misura e sulle tremende scarpe di pelle quasi maschili. Una vocina nella testa gli ricordava che tra meno di un mese avrebbe dovuto invitare quei pochi amici che fingeva di sopportare per soffiare sulla torta tutte e trentaquattro le candeline che qualche mano satanica le avrebbe disposto davanti agli occhi. Le venne voglia di prendere la macchina, quella sera subito dopo il lavoro e di lanciarsi a Milano per caricarsi un ragazzetto qualunque in un locale e farsi sbattere fino al giorno dopo.
Se i vecchi ti mettono tutta questa tristezza che ci fai ancora qui? Si domandò mentre faceva accomodare i due ospiti sgraditi all’interno dell’ufficio.
Senza un minimo di esitazione rimise il fermo alla porta. Mica mi potranno accusare di sequestro di persona. E poi meglio quello che un’invasione di cavallette ottuagenarie mentre sono qui da sola.
“Sa signora Annamaria” disse la vecchia che pareva non aver ancora perso le speranze di riuscire a fare un po’ di conversazione amichevole: “Il mio nipote, l’Alfredo, il figlio di mio figlio Mauro, lui mi viene sempre a trovare il giorno che prendo la pensione, lo porta la sua mamma. E lo sa perché?”
“Me lo immagino… ma ora ho molto da fare” taglio corto la direttrice
“Lo so, lo so, le rubo solo un momento, così magari la faccio ridere un po’”
“Ne dubito signora, sono davvero molto occupata, sono certa che il signor Giuseppe la vorrà ascoltare”
“Ma quello lì ormai non ci sente più da un orecchio, e poi non mi piace tanto, sa che mi fa la corte da un bel po’? Prima mica veniva in chiesa, adesso è lì tutti i giorni,… mica per il padre eterno, lo fa per me”
Ora le tiro una testata, pensò mentre frugava in borsa alla ricerca delle chiavi della porte di sicurezza che divideva l’inferno della sala clienti dal paradiso del suo ufficio silenzioso: “Comunque il mio nipote viene sempre quando prendo la pensione perché sa che io gli do un bel dieci euro, che per me è la spesa di un giorno, sa?”
Chiavi trovate, tra un secondo ci sarò solo io il PC e un richiamo disciplinare in bianco.
“Però l’altro mese mi ha detto: sai nonna che ho cominciato a suonare la chitarra? Mi regali una chitarra per il mio compleanno?”
Perfetto, ora si era avvicinato pure l’altro vecchio che tendeva l’orecchio buono per sentire la conversazione.
“Io gli ho detto: amore cosa costa la chitarra? E lui, nonna, cinquecento euro”
CLIK… porta aperta, salvezza.
La vecchia era ormai un fiume di parole sulle prodezze del nipotino e il vecchio sembrava un’ombra, allargò ancora il sorriso e disse: “Ha capito, cinquecento euro, quello che prendo io di pensione” rise forte e le scappo un colpo di tosse.
La situazione stava diventando insostenibile, tra un secondo si sarebbe messa a urlare e vaffanculo il supervisore e i richiami. La cosa peggiore era che, per ascoltare la storia l’altro vecchio si era messo tra lei e la porta blindata impedendole sia di entrare sia di chiudere.
“Sa cosa gli ho detto allora al mio nipote?”
“Casa?” fece lei esasperata. Tanto valeva farla finita e dare retta per due minuti alla signora sperando che nel frattempo morisse.
“Gli ho detto: ma la nonna mica ruba i soldi per vivere… ha capito?”
Annamaria annuì con un sorriso forzato mentre la vecchia continuava a ridere.
Quando la risata finì la signora mise con gentilezza una mano sul braccio della direttrice, ora mi ringrazia e si leva dalle palle, pensò lei con un senso di soddisfazione che le sgorgava dal petto.
 “Allora mi è venuto in mente di parlare con il signor Giovanni qui, che lui invece di mestiere faceva proprio il rapinatore. È stato anche a San Vittore, sa? Lo racconta sempre al centro anziani, e gli ho detto, signor Giovanni, un colpo ad un ufficio postale in provincia quanti soldi ci fa guadagnare?”
Per la prima volta la direttrice capì cosa avesse detto il vecchio vicino a lei: “Se è giorno di pensioni anche cinquantamila euro, ho detto io”
Tutto il sollievo scomparve dal petto della più giovane del terzetto quando vide che la vecchia, sempre sorridendo aveva estratto una piccola pistola dalla borsetta: “Sa; Io non so sparare ma il signor Giovanni mi ha detto che con questa qui non c’è quasi… come si dice signor Giovanni, mi aiuta?”
“Rinculo”
“Che brutta parola, non c’è quasi rinculo e che da vicino se le sparo nel petto magari lei non muore ma le collassa un polmone di sicuro… mio marito, pover’uomo gli è collassato il polmone, non è morto subito ma non le posso dire che pena”
La direttrice non aveva più parole, la bocca era secca.
I due vecchi fecero segno di entrare e le dissero di aprire cassaforte e tutte le casse.
“Signori, cercate di capire, non potete andare da nessuna parte, abitate qui, vi trovano di sicuro”
“Ma noi non abitiamo qui, sono due mesi che veniamo tutte le mattine con la corriera e che poi torniamo a casa in tempo per vedere la vita in diretta… le piace la Barbara d’Urso?”
“Ma io…” aveva dato per scontato che tutto quello che la vecchia aveva raccontato fosse vero, il signor Giovanni che abitava lontano, la signora Mariolina. Tutti quei piccoli particolari inutili che rendono così monotona e nel contempo così credibile la vita di un vecchio in un piccolo paese.
La vecchia scosse la mano con la pistola: “Fa niente, fa niente, se non le dispiace abbiamo fretta… se si può sbrigare un po’ che poi abbiamo il signor Piero che passa a prenderci con la macchina”
“Ma vede lei non capisce io non posso aprire la cassaforte così”
A questo punto fu il signor Giovanni che intervenne: “Vede cara la mia dottoressa, sono due mesi che passo di qui e la vedo che tratta male la gente, lei non mi ha mai visto. La cassaforte che avete di là non è temporizzata, lo Stato non ha soldi per un ufficio postale come questo, avete giusto una vecchia cassa a chiusura di quelle che negli anni sessanta le facevamo saltare col tritolo, apra” e nel dire questo fece una cosa che la donna non si sarebbe mai aspettata, estrasse dalla giacca un corto fucile a canne mozze e glielo piantò in piena faccia: “Se sparo le rovino il trucco, e a me, di rovinare il trucco alle signore non me ne è mai fregato niente”
La direttrice non si fece ripetere nulla ed estrasse la chiave della cassaforte con il fiato ormai ridotto al minimo.
“Il signor Giovanni non si sa comportare, ecco perché gli dico sempre che non accetto la sua corte” commentò la vecchia: “Ma lo sa che quando era giovane tenne in ostaggio un’impiegata di banca per sei giorni in una capanna vicino a Rho? Quando lui le disse che poteva andare via lei non voleva più andarsene gli diceva che voleva sposarlo” altra risata asmatica: “Metta i soldi più grossi qui nella mia borsa” La direttrice prese le mazzette filmate da 500 e da 200 e le mise con cura nella grossa borsa della spesa con le ruote che la vecchia si trascinava dietro da quando l’aveva vista all’ingresso e che lei aveva notato distrattamente come tutti i segni distintivi che contraddistinguono i vecchi.
Quando la borsa fu piena la vecchia fece cenno che poteva bastare.
“Si sieda” disse il signor Giovanni afferrando una sedia da dietro al bancone e trascinandola in un luogo lontano dalla vista immediata degli impiegati.
Afferrarono un rotolo di scotch con la dicitura poste italiane stampigliata sopra e lo esaurirono nel legarle gambe e braccia alla seduta
Finita l’opera di impacchettamento la vecchia si girò verso le casse e afferrò con ordine alcuni biglietti da dieci euro, li appallottolò con cura e fece segno alla prigioniera di aprire la bocca.
La direttrice senti il sapore di carta sporca arrivarle fino in gola e cerco di respirare con il naso per sopprimere il conato di vomito che le sgorgava dallo stomaco. Un ultimo giro di nastro isolante le serrò la bocca.
Ad operazione terminata i due se ne andarono ringraziando della collaborazione la donna ridotta ormai ad una maschera di mascara sciolto dalle lacrime di rabbia e paura.
I soccorsi vennero chiamati dagli impiegati quando ormai dei due rapinatori non c’era più alcuna traccia, i giornalisti arrivarono praticamente coi carabinieri, era comprensibile, c’era troppo poco spazio per diventare famosi in un piccolo paesino di provincia, figurati se non se ne approfitta quando ti capita una bella rapina d’altri tempi.
Solo in un secondo momento, quando un’impiegata raccolse la pallina di carta moneta che era stata infilata nella bocca della sconvolta direttrice si accorse che tra i fogli da dieci euro era restato intrappolato un foglietto di carta bianca.
Sebbene rovinato dalla saliva e dalle lacrime, il messaggio che esso conteneva restò chiaro a tutti.
Questa è la nostra prima azione, siamo tanti, siamo arrabbiati, siamo anziani… abbiate paura di noi.